23 gennaio 2012

La corrispondenza tra Padre Cavalcoli e Mons. Sanna


Lettera di P. Giovanni Cavalcoli a Mons. Ignazio Sanna
Bologna, 11 Gennaio 2012
Eccellenza Reverendissima,
immagino che Ella sarà venuta a sapere della reazione sdegnata e quasi incredula diffusa soprattutto online di molti cattolici nell’apprendere che prossimamente a Milano verrà rappresentato lo spettacolo di Romeo Castellucci “Il concetto del volto del Figlio di Dio”, che termina con un lancio di sassi da parte di un gruppo di ragazzi contro una stupenda e commovente immagine di Nostro Signore Gesù Cristo del famoso pittore Antonello da Messina, oltre al fatto che l’immagine del Sacro Volto viene indegnamente imbrattata, con l’evidente significato di voler così insultare in modo blasfemo la Persona del Divin Salvatore.
Ma quale non è stata la mia sorpresa nell’apprendere oggi che l’E.V. in occasione dell’omelia tenuta il 2 novembre scorso al cimitero di Oristano per la Commemorazione dei Defunti, ha pronunciato le seguenti parole: “Anche se gli attori dello spettacolo Sul concetto di volto del Figlio di Dio rivolgono all’immagine maestosa del Cristo di Antonello da Messina la domanda accorata: ‘perché ci hai abbandonato?’, il regista dell’opera ribadisce che “noi siamo nutriti dell’immagine di Cristo”. Ella poi commenta le parole del regista citando S.Agostino: “In realtà, il volto del Signore, riscoperto da S. Agostino come bellezza sempre nuova e sempre antica, mai uguale eppur sempre lo stesso, veglia su ogni stagione del cuore. ‘La sua grazia rimane per sempre, la sua fedeltà è fondata nei cieli’ ” (Sal 88, 3).


La mia sorpresa sta nel fatto che, a ben considerare il citato gesto contro l’Immagine di Cristo a prescindere da quanto possa poi aver detto il regista, parole che legano con quel gesto come l’acqua santa va d’accordo col diavolo, Ella cerca di dare sia allo spettacolo che alle dichiarazioni di Castellucci un senso cristiano assolutamente incompatibile col significato oggettivo sia dello spettacolo che delle stesse dichiarazioni del regista. Per questo le parole del Castellucci, che Ella cita, sono del tutto insincere e non fanno che aggravare la sua responsabilità.
Infatti, quanto alla domanda “perché mi hai abbandonato” rivolta a Cristo dagli attori, è evidente il richiamo alle parole stesse del Salvatore pronunciate sulla croce, parole che certo ad un approccio superficiale possono anche scandalizzare, stante l’unione ineffabile ed incomprensibile che secondo la nostra fede esiste fra il Padre e il Figlio, i quali sono un unico Dio.
Ma come da sempre spiega l’esegesi cattolica, e Lei dovrebbe ben saperlo, quelle parole sono tratte dal Salmo 22, che bensì inizia con esse, ma si conclude con altre di ben diverso tono e ricche di sconfinata fiducia in Dio: “Egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido di aiuto, lo ha esaudito. Sei Tu” (il Salmista si rivolge a Dio) “la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: viva il loro cuore per sempre. Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, Egli domina su tutte le nazioni. A Lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a Lui si curveranno quanti discendono nella polvere. Ma io vivrò per Lui, lo servirà la mia discendenza” (vv.25-31).
Ora, nulla assolutamente di questo esito sublime e confortante dell’espressione citata si trova nello spettacolo di Castellucci. E’ facile, invece, in questo testo nella sua crudezza, avulso dal contesto sia del Salmo che delle altre parole pronunciate da Cristo sulla croce, ravvisare un’allusione forse non casuale ma consapevole ad un’interpretazione di quella espressione completamente fuorviante e diciamo pure blasfema, purtroppo sostenuta e diffusa da certi cristologi protestanti ed ora anche cattolici, interpretazione la quale non tiene nessun conto delle altre parole che Cristo pronunciò sulla croce, tra le quali la famosissima espressione in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum, parole che testimoniano all’evidenza della profondissima comunione che Cristo aveva col Padre.
Infatti, l’aver isolato la citata espressione angosciata di Cristo dal suo contesto è una disonesta operazione che fa comodo ad Hegel per sostenere la necessità “logica” della sua dialettica del rapporto “contradditorio” del Figlio col Padre: la croce, per Hegel, è il momento nel quale Dio oppone Sé a Sé stesso, onde produrre susseguentemente la riconciliazione di Sé con Sé nel momento della risurrezione. Ora è chiaro che qui si suppone una concezione dialettica della natura divina che è assolutamente incompatibile non solo con la concezione cristiana, ma con i dati stessi della teologia razionale. Ed alcuni cristologi succubi di Hegel purtroppo si sono lasciati abbindolare da questa sconcezza ammantata di “necessità logica”.

Potrei aggiungere, nello sforzo di salvare il salvabile dello spettacolo di Castellucci, che la ribellione contro Cristo potrebbe avere qualche somiglianza con la ben nota reazione di Giobbe alle disgrazie che Dio gli manda: “Perché mi hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso?” (Gb 7,20).
Senonchè anche qui siamo daccapo: nulla che si possa rintracciare nello spettacolo che possa avere una qualche lontana attinenza con le conclusioni sagge e serene alle quali giunge Giobbe, il quale, allorchè ascolta le parole di Jahvè che gli spiegano che Egli, se manda la sofferenza, non per questo non resta un Dio saggio, buono ed onnipotente, afferma: “Io Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi Ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere” (42, 5-6).
Al contrario, lo spettacolo termina seccamente senza il pentimento di nessuno ma con il lancio di sassi e l’imbrattamento dell’Immagine di Cristo: dunque nulla che assomigli all'umiltà e alla serena rassegnazione di Giobbe, il quale si arrende fiduciosamente alla misteriosità della divina provvidenza. Che cosa resta allora se non la ribellione e la bestemmia?

Dunque, cara Eccellenza, mi permetto di dire con tutta franchezza che anche il passo di Agostino è citato del tutto a sproposito. La conclusione dello spettacolo di Castellucci non insinua nessun desiderio di contemplare il volto di Cristo, ma al contrario, di rifiutarlo sdegnosamente.
Da qui lo sdegno dei buoni cattolici e la mia meraviglia, che un Vescovo, maestro della fede e in particolare della fede in Cristo, abbia preso una svista di tal genere.
Cara Eccellenza, abbiamo bisogno di ben altro. Abbiamo bisogno sì di dialogo con tutti, sì di salvare il salvabile, ma di rinunciare a salvare ciò che non può essere salvato: Castellucci certo può essere salvato, ma non le sue bestemmie.

Con sensi di rispetto ossequio
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Docente emerito di Cristologia nella Facoltà Teologica di Bologna




RISPOSTA DI S.E. MONS. IGNAZIO SANNA A P. GIOVANNI CAVALCOLI


Oristano, 12 gennaio 2012

Carissimo Padre Giovanni Cavalcoli,
1.La ringrazio, anzitutto, per il dialogo intelligente e rispettoso con il quale si rivolge a me.

2. Preciso subito che non ho visto l’opera di Castellucci, non la voglio vedere mai e condanno senza se e senza ma qualsiasi opera teatrale che oltraggi la figura di Gesù e offenda la sensibilità dei fedeli.

3.Condivido la reazione sdegnata di quanti protestano per una sua futura rappresentazione in Italia.

4. Detto questo, ribadisco ancora una volta il senso inequivocabile della mia omelia, secondo la dichiarazione che è apparsa sul sito della Diocesi.

5. Aggiungo che, per la mia omelia, ho utilizzato due espressioni, prese da un’intervista, che ho interpretato a modo mio, nel senso di un’ammissione (sincera o non sincera, non lo so, ma, comunque, fondata sulla nostra visione cristiana della vita) che non si può fare a meno della ricerca di Dio e di Gesù , e di un lamento di sentirsi abbandonati da Gesù, che sento spesso nelle mie visite ai malati negli ospedali o nelle conversazioni con persone disperate in cerca di conforto spirituale. Non mi interessa il contesto dello spettacolo di Castellucci, che non conosco, e, quindi, non potevo assolutamente approvare.

6. Sono d’accordo con la sua critica allo spettacolo di Castellucci, che lei ovviamente conosce ed io non conosco e non voglio conoscere. Ma essa non riguarda il senso della mia omelia, che, pertanto, rimane valido come annuncio della fede nella vita eterna e desiderio della contemplazione del volto di Cristo.

7. In comunione di ideali e con sensi di rispettoso ossequio

+Ignazio Sanna

Fonte: Riscossa Cristiana