4 gennaio 2012

Rispondiamo a Castellucci

Numerosi nostri lettori ci segnalano che ad ogni loro e-mail di protesta, l'Ufficio Stampa del Teatro "Parenti" replica allo stesso modo, ovvero riportando la lettera-comunicato dello stesso Romeo Castellucci scritta in difesa del suo spettacolo contro le reazioni sacrosante dei cattolici francesi.
Riportiamo la lettera del Castellucci e, subito dopo, la nostra risposta alle sue farneticazioni.
Comitato San Carlo Borromeo



Lettera-comunicato di Romeo Castellucci


Io voglio perdonare coloro che hanno tentato con la violenza d’impedire al pubblico di entrare in teatro. Li perdono perché non sanno quello che fanno.

Non hanno mai visto lo spettacolo e non sanno che è spirituale e cristico; portatore, cioè, dell’immagine del Cristo. Io non cerco vie brevi e odio la provocazione. Per questa ragione non posso accettare la caricatura e la spaventosa semplificazione che è stata data da queste persone.

Ma li perdono, perché sono ignoranti e la loro ignoranza si fa tanto più proterva e nefasta quanto più chiama in causa la fede. Sono persone sprovvedute anche sul lato dottrinale e dogmatico della fede cattolica; si illudono di difendere i simboli di un’identità perduta, brandendo minaccia e violenza. E’ molto forte la partecipazione irrazionalistica che si organizza e si impone con la violenza. 

Mi dispiace per loro ma l’arte non è paladina se non della libertà di espressione.

 Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Il volto di Cristo illumina con la potenza del suo sguardo tutto questo; e interroga ciascuno spettatore nel profondo. È questo sguardo che disturba e mette a nudo;  non certamente il colore marrone che, rivelando presto il proprio artificio, rappresenta le feci.  Allo stesso tempo - lo devo dire con chiarezza - è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi.  Chi ha visto lo spettacolo ha potuto vedere la finale colatura di un velo di inchiostro nero scendere sul dipinto come un sudario notturno. 


Questa immagine del Cristo del dolore non rientra nell’illustrazione anestetizzata della dottrina dogmatica della fede. Questo Cristo interroga come un’immagine vivente e certamente divide e dividerà ancora. Per questa ragione io accetto le contestazioni e perdono quelle persone. 

Voglio inoltre ringraziare tutto il Theatre de la Ville nella persona di Emmanuel Demarcy-Mota per tutti gli sforzi che sono stati fatti per garantire l’incolumità degli spettatori e degli attori.

Romeo Castellucci
Socìetas Raffaello Sanzio
Parigi, 21 ottobre 2011


Il nostro comunicato di risposta


Se si prova a scrivere una mail di protesta al teatro Parenti, si ottiene, come risposta, un comunicato scritto da Romeo Castellucci. Le parole del regista appaiono dolci e raffinate, ma nascondono alcune insidie. Il regista perdona me e tutti coloro che cercano, in maniera pacifica, di impedire lo spettacolo «perché non sanno quello che fanno». Si potrebbe obiettare che queste parole sono state pronunciate da Cristo – lo Stesso Cristo che viene sfigurato nella rappresentazione di Castellucci – sulla Croce e che è poco opportuno paragonarsi al Figlio di Dio nell’atto dell’estremo sacrificio.
Secondo Castellucci, coloro che protestano contro il suo spettacolo non sono altro che ignoranti. È vero: siamo ignoranti, come richiesto nell’Imitazione di Cristo: «quelli che sanno molto si rallegrano di esser riputati e celebrati per la loro dottrina. Ma all’anima giova poco o nulla il conoscere molte cose, e stolto è chi si occupa d’altro, che di ciò che serve alla salute dell’anima. Le molte parole non saziano lo spirito, ma la vita buona dà ristoro alla mente, e la coscienza pura fa nascere in noi gran confidenza di Dio».

Non saremo dei brillanti intellettuali, ma è evidente – dagli spezzoni che abbiamo potuto visionare – che i personaggi messi in scena da Castellucci non sono altro che caricature. Hans Sedlmayr, importante storico dell’arte del XX secolo, così definiva la caricatura: «per sua natura questa [la caricatura] è uno sfiguramento del carattere umano e, nei casi estremi, una introduzione dell’elemento infernale (il quale non è altro che l’insieme di immagini opposte a quelle umane) nell’elemento umano».
L’arte non può essere semplicemente «paladina della libertà d’espressione», come afferma il regista. O, meglio, può esserlo, ma – così facendo – abdica al suo fine. L’arte è fatta per educare. Se proprio non vogliamo pensare alle cattedrali medievali splendidamente affrescate o dotate di vetrate per educare i fedeli, pensiamo all’arte greca – per quanto riguarda la scultura – e all’arte romana per quanto riguarda l’architettura. La bellezza dei corpi delle statue greche non è fine a se stessa, ma vuole innanzitutto essere un modello intellettuale e sentimentale: «la varietà e la scioltezza degli atteggiamenti, la torsione dei corpi e la tensione delle muscolature, la finezza dei panneggi e la ricchezza delle acconciature si accompagnano alla capacità di lasciar trasparire nell’espressione dei volti il mondo interiore dei sentimenti» (Marco Bona Castellotti). L’architettura romana, invece, aveva l’obiettivo di far conoscere agli abitanti dell’Impero qual era la loro missione. Sergio Bettini, per esempio, nota come sia fondamentale nell’architettura di Roma il «legamento», necessario per esprimere «l’universalismo unitario che è tipico della mens romana». L’arte, infine, come afferma Aristotele, dovrebbe svolgere una funzione di catarsi, ossia di purificazione dell’animo umano.
Castellucci cerca di ripararsi dalle accuse, affermando che «è completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi». Ma allora, chiediamo al regista, come mai – nel momento in cui l’anziano padre si pone dietro l’immagine e la ricopre di un liquido scuro – in alcune rappresentazioni la sala è stata invasa da un odore nauseabondo simile a quello delle fogne?
Ammettendo pure che «gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale», riteniamo che l’opera di Castellucci vorrebbe essere trasgressiva, ma – alla fine – si rivela estremamente conformista. Gli attacchi al Cristianesimo attraverso l’arte sono frequenti (si pensi a Piss Christ) perché gli artisti fanno coincidere l’arte con la trasgressione; così facendo, però, non fanno altro che imitarsi a vicenda e giocare a chi è più trasgressivo. Tutto questo perché l’arte ha perso il suo centro, per riprendere un concetto formulato da Sedlmayr.
Dostoevskij ha scritto che «la bellezza salverà il mondo». Per questo non possiamo accettare uno spettacolo che, prima di essere blasfemo, è innanzitutto brutto e volgare.

Comitato "San Carlo Borromeo"
04/01/2012